Chi siamo | Cosa facciamo | Contatti | Pubblicità | domenica 24 novembre 2024 |
Una notizia è una notizia. Mica detto. Se una notizia viene detta male, diffusa in modo non adeguato, trasmessa in maniera che le sue implicazioni, i collegamenti che determina e gli ambiti che tocca non sono comprensibili ecco che la notizia si è bella che sgonfiata e ha smesso di essere una notizia. Che tutto questo fosse vero lo si sapeva già con la carta stampata. In apertura di giornale le questioni più importanti, gli approfondimenti nei box, magari due o tre, qualche aiuto con l’infografica che evita di descrivere nel dettaglio ciò che l’occhio comprende all’istante. A complicare le cose ora c’è internet, o meglio i nuovi media, che nel mondo fatto di alto e basso, prima e dopo, sopra e sotto, hanno aggiunto qualche dimensione in più.
Roba che fa paura? Solo se non la si conosce e ci si ostina a non volerla conoscere.
A Federico Badaloni, giornalista e architetto dell’informazione per il Gruppo Editoriale L’Espresso abbiamo chiesto di spiegarci cosa sia l’architettura dell’informazione.
«È tutto quanto c’è tra una persona e un contenuto al quale la persona può avere accesso. Non si parla soltanto di giornalismo, l’architettura dell’informazione si occupa di dare una struttura logico-semantica a delle informazioni. È ovvio che se l’informazione di cui stiamo parlando è una notizia di agenzia nuda e cruda, non c’è bisogno di alcun intermediario, l’accesso al contenuto è diretto. Ma se l’informazione è parcellizzata, scomponibile, allora va organizzata».
E se è vero che i nuovi mezzi hanno cambiato e cambieranno il giornalismo, questo avverrà proprio in questo senso.
«Essendo mutati gli strumenti – afferma Badaloni – deve cambiare il modo in cui il giornalista se ne serve. Per i giornali cartacei dovevo elaborare un timone e poi il giornalista si affiancava a un grafico. Già parlando di televisione il giornalista deve imparare a usare questo strumento, con le sue caratteristiche, non più il timone, ma la scaletta, non più una successione di notizie nello spazio di una o di più pagine, ma successione nel tempo di uno o più servizi. Con internet e i new media è lo stesso. I giornalisti dovranno imparare a confrontarsi con un architetto dell’informazione e definire ad esempio un albero di navigazione. C’è una forma di paura, una sorta di resistenza al digitale che fa pensare che siano necessarie chissà quali competenze tecniche, in realtà per il giornalista in sè non è così, a lui si chiede solo di cominciare a pensare in modo diverso».
Anche perché o così o...«Per la verità è già nel dna del giornalista il fatto di non limitarsi alla ricerca della notizia. C’è un lavoro di selezione delle fonti, di filtro tra la notizia e il suo destinatario, c’è il lavoro di gerarchizzazione delle varie parti di una storia che si vuole raccontare. Stiamo entrando in un ecosistema diverso, in cui non ci si limita più solo alle parole e il giornalista deve entrare in questo nuovo mondo, affrontando quella che è una nuova sfida molto interessante. Dare sul web una notizia in modo statico è uno spreco ed è per certi versi sbagliato se si è sul web che offre molte altre possibilità. L’intuizione giornalistica, la notizia è resta quello che era, cambia il modo di renderla disponibile. Il Los Angeles Times ad esempio ha creato una mappa interattiva sul crimine. Sul sito della polizia erano resi pubblici i dati degli omicidi, hanno proiettato questi dati su una mappa e hanno reso il tutto interattivo. Il punto di partenza è e resterà sempre un’intuizione giornalistica, in più c’è un programmatore che ha fatto in modo che questi dati venissero letti costantemente e la mappa sempre aggiornata in tempo reale. È solo uno degli esempio per mostrare come lo spirito giornalistico può trovare un alleato in un programmatore. Il giornalista non deve fare più tutto da solo, ma deve accogliere al suo fianco un professionista, dotato anch’esso di sensibilità giornalistica, che sappia rendere navigabili, organizzati e ricercabili i suoi contenuti».